MATTIA MORELLI – TRITTICI DA LANDSCAPES

Quando hai capito che volevi diventare un artista?
Mah, forse non lo si capisce mai davvero abbastanza, so solo che da piccolo mi chiudevo in camera per ore a fare scarabocchi, esperimenti con i colori e con i materiali, costruire e inventare, fino a che ad un certo punto dei miei studi la scelta era tra scienze motorie o belle arti, è così che è andata più o meno.

Ancora oggi è una continua ricerca, un continuo mettersi in gioco (con se stessi, con la propria ricerca e con chi ti sta intorno).

Potresti parlarci delle tue influenze artistiche e quali artisti ti hanno maggiormente ispirato?
Solo “Madre Natura” non vale come risposta, vero? Se i grandi vedutisti di fine ‘800 inizio ‘900 come Timothy O’Sullivan, Carleton Watkins, Ansel Adams, Edward Weston sono stati coloro che hanno innescato la miccia a livello mentale, ovvero le vedute a cui aspirare (anche se non mi è mai interessato fotografare il paesaggio così com’è) fotografi come Thomas Demand, Armin Linke, Giacomo Costa, Joan Fontcuberta, mi hanno sempre colpito per la loro tecnica e interpretazione. Quel mistero tra realtà e finzione da cui nasce un’immagine verosimile è ciò che mi stuzzica di più, è necessario – senza svelare l’inganno – lasciare il beneficio del dubbio. Un’immagine su tutte? “Allevamento di polvere” firmato Duchamp – Man Ray, 1920.

 Preferisci lavorare da solo o con altri artisti?
Solitamente in partenza da solo, ma non è detto, mi diverto molto a partecipare a gruppi di lavoro, come può succedere nelle Residenze d’Artista ad esempio, dove gli scambi d’idee sono inevitabili.

Il confronto genera nuovi stimoli sempre ed è motivo di crescita, ti fa uscire da quella zona di comfort, fondamentale per non fossilizzarsi sulle proprie convinzioni. Insieme alla collega pittrice Margherita Giordano, con “Variazioni sul tema”  – opera a quattro mani  – abbiamo vinto nel 2019 il premio Arte Aniene a Roma e successivamente, sempre con Margherita, all’interno di Fondamenta Gallery a Roma, insieme a Giulia Spernazza, Giovanni Longo e Chiara Amici abbiamo creato da inizio 2020 il collettivo artistico “BASEMENT”.

Ci puoi raccontare un progetto al quale stai attualmente lavorando?
Più che su un progetto in particolare, sto cercando di esplorare vari media. E’ da tempo ormai che mi sono accorto che la fotografia come tale non mi basta più, è un pretesto. Sebbene rimanga un mezzo espressivo da cui partire, sempre più progetti prevedono oltre a stampe fotografiche anche lightbox, video, proiezioni, gif animate, audio, pubblicazioni ed altre modalità installative.

Vista, udito e tatto sono i sensi che più vengono sollecitati durante la fruizione di opere d’arte, da tempo invece sto studiando come poter inserire l’olfatto in particolar modo nella mia ricerca; ecco questo è il vero progetto su cui sto lavorando.

Credo che proprio l’utilizzo dell’olfatto in arte sia inversamente proporzionale alle sue capacità evocative in grado di generare epifanie sedimentate in un subconscio lontano, aspetto questo fondamentale per chi fa arte.

 Cosa avresti fatto se non fossi diventato un artista?
Non saprei, me lo chiedo ancora…

Quali consigli ti senti di dare ad un giovane che voglia diventare un artista? 
Essere sfrontato, determinato, ma soprattutto APPASSIONATO. Appassionato al proprio lavoro e a quello che succede intorno e altrove, riflettere, concentrarsi e dilatare lo spazio e il tempo.

Là fuori ci vogliono sempre produttivi e di corsa ma le dinamiche di creazioni artistiche sono ben altre, hanno dei ritmi lenti. Inoltre, essere un artista significa anche essere un gran comunicatore, bisogna persuadere, diventi il venditore porta a porta di te stesso, “il presentatore di televendite” delle tue opere. La consapevolezza di quello che si fa è alla base del successo. Se si parte con la convinzione che la propria ricerca artistica sia finalizzata al profitto è finita, ma so bene che è quasi un paradosso, o una presa in giro, è vero, per questo la necessità primordiale di fare arte è scevra da compromessi economici, ma è pur vero che di arte bisognerebbe poter campare… Ma questo forse, anzi sicuramente, è un discorso più ampio che riguarda un ambito più complesso e labirintico e che include troppe professionalità che non sempre hanno a che fare con la parola Arte.



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